Metralla Rosa con Carla Tofano

Intimidad Sangrienta

By Carla Tofano

Bloody Intimacy

 

Menstruation is a hot topic these days.

Public dialogue has recently reclaimed this biological phenomenon – a phenomenon that has always been tinged with an awkward two-sided morality.

Women, especially younger ones, have been embarking on a crusade for unconditional and positive appreciation of themselves, including the appreciation of their periods, their fluids and the bleeding phases within their lives.

Fortunately, this undoubtedly visible and predominant discussion in the media that is associated with this new pro-period militancy, appears to have sprinkled an ancestral stream of empowerment over this collective dialogue. Without asking forgiveness, or permission, and with a tone that is more visceral than educational, women are now demanding the legitimisation of this glorious, archetypal power of the wild that is inherent in the feminine.

And I, of course – with blood, sweat and tears – applaud it.

I remember writing, when I was very young (at least 18 years ago) a piece that paid tribute to my days and nights of carmine red flows. I knew perfectly well, even at that time, that nothing would enable me to invoke my river of transmuted currents more fluently than being able to recognise myself in the blood that flowed between my legs every 28 days.

This blood reminded me that life is death and death is transformation. We women are a constant and periodical lukewarm maceration of both these polarities. I knew, even at the time, that women are beastly dichotomies, best embraced rather than denied.

Women of all races, ages, colours, flavours and sizes, are circulating photos of their faces and/or bodies with traces of what appears to be the blood of their vulvae throughout the omnipresent power of social networks. They are also publishing details of their suitably soiled and photographed underwear, intending to de-stigmatize and counter the reactions of repulsion and/or scandal that these types of images generally cause in the collective imagination.

Today, everything is presented with a mixture of feminist provocation and sublimation of the forces that are part of the savage charm of the inevitable. And yet I still wonder, in no way rhetorically, if this movement – that is supposed to help us be proud of the blood we shed – is only a formal manifestation.

I also wonder if this empowerment helps us share the warm fire-ritual that we are – and that we release monthly from our guts – with the candour of intimacy.

Do today’s women have more sex when they bleed than yesterday’s women? Why is playing with flavours and textures from outside the body considered sexy, and yet tasting or smearing our own blood is not? Or is it sexy for you, and I don’t know?

In my own monogamous, heterosexual experience – I’m sorry if that sounds overly harmless – this progressive thinking within the public arena has a place in my partner’s head, but it is not part of his more ingrained fetishes or erotic desires. To my lover and my love, my blood is not particularly appetizing to the palate, and I think on an unconscious level it still scares him a little.

However, while I understand that the nature of carnal desire is almost never a matter of negotiation: things either entice you and/or tempt you, or they don’t; I admit that I assume his lack of lymphatic appetite to be a gesture of subtle disdain.

My partner’s lack of vampiresque voracity disappoints me, and I express it every time I can without pretence. Why? Because I, until there is not a single drop of blood left to spill from my ovaries, feel as tempting as a glass of wine in the hands of a teetotaller, or as a handful of fresh strawberries forgotten at the bottom of the fridge, or as a piece of raw meat at a vegan dinner.

Red and dangerous. Temporarily wasted. Wonderful red tide.


Credits

Cover Photo: Carla in the darkroom, wearing a feathered helmet designed and made by Rob Goodwin for his Valkyries Collection (2011). Photograph by Toby Deveson, February 2019.
Translation: by Valentina Sarno.

Sanguinosa Intimità

 

Le mestruazioni sono un argomento scottante in questi tempi.

Recentemente c’è stata molta attenzione nelle discussioni pubbliche su questo fenomeno biologico, che si è sempre tinto di una goffa moralità bifronte.

Le donne, soprattutto quelle più giovani, hanno avviato una crociata verso un apprezzamento incondizionato e positivo di sé stesse, e questo include la valorizzazione delle loro mestruazioni, dei loro fluidi e delle fasi sanguinolente della loro vita.

Fortunatamente, il discorso indubbiamente visibile e comunque predominante nei media associato a questa nuova militanza pro-mestruo sembra cospargere un ancestrale flusso di emancipazione sul dialogo collettivo. Senza chiedere né perdono né permesso, e con un tono più viscerale che educativo, le donne chiedono ora la legittimazione del glorioso potere archetipico del selvaggio che è insito nel femminile.

E io, naturalmente – con sangue, sudore e lacrime – lo applaudo.

Ricordo di aver scritto, quando ero molto giovane (almeno 18 anni fa) un pezzo che rendeva omaggio ai miei giorni e alle mie notti di flussi rosso carminio. Sapevo benissimo già allora che nulla mi avrebbe permesso di invocare il mio fiume di correnti trasmutate in modo più fluido che riconoscermi nel sangue che mi scorreva tra le gambe ogni 28 giorni.

Questo sangue mi ricordava che la vita è morte e la morte è trasformazione. Noi donne siamo una costante e periodica e tiepida macerazione di entrambe le polarità. Sapevo, già allora, che le donne sono dicotomie bestiali, meglio abbracciate che negate.

Donne di tutte le razze, età, colori, sapori e dimensioni, fanno circolare foto dei loro volti e/o corpi con tracce di quello che dovrebbe rappresentare il sangue delle loro vulve, attraverso l’onnipresente potere dei social network. Pubblicano anche dettagli della loro biancheria intima opportunamente sporca e fotografata, con l’intento di de-stigmatizzare, per contrastare le reazioni di repulsione e/o scandalo che questo tipo di immagini generalmente provocano nell’immaginario collettivo.

Oggi tutto si presenta con un misto di provocazione femminista e sublimazione delle forze che fanno parte del fascino selvaggio dell’inevitabile. Eppure continuo a chiedermi, per nulla retoricamente, se tutto questo movimento, che dovrebbe aiutarci a essere fiere del sangue che versiamo, sia solo una manifestazione formale.

Mi chiedo se questa responsabilizzazione ci aiuta anche a condividere il caldo rito del fuoco che siamo, e che liberiamo mensilmente, dalle nostre viscere e nel candore dell’intimità.

Le donne di oggi fanno più sesso quando sanguiniamo rispetto alle donne di ieri? Perché giocare con i sapori e le consistenze al di fuori del corpo è considerato sexy eppure assaggiare o spalmarsi il nostro sangue non lo è? O lo è per voi e non lo so?

Nella mia esperienza monogama ed eterosessuale – scusatemi se suona troppo inoffensiva – il pensiero progressista dell’arena pubblica si ritrova nella testa del mio partner, ma non fa parte dei suoi feticci più radicati o dei suoi desideri erotici. Per il mio amante e il mio amore, il mio sangue non risulta così appetitoso, e penso che a livello inconscio lo spaventi ancora un po’.

Tuttavia, pur comprendendo che la natura del desiderio carnale non è quasi mai una questione di negoziazione: le cose o ti attirano e/o ti tentano, o non lo fanno, confesso di ritenere la sua mancanza di appetito linfatico come un gesto di sottile disprezzo.

La mancanza di vampiresca voracità del mio compagno mi delude e lo esprimo ogni volta che posso senza finzioni. Perché? Perché io, finché non rimanga una sola goccia di sangue da versare dalle mie ovaie, mi sento allettante come un bicchiere di vino nelle mani di un astemio, o una manciata di fragole fresche dimenticate in fondo al frigo, o un pezzo di carne cruda a una cena vegana.

Rossa e pericolosa. Temporaneamente sprecata. Meravigliosa marea rossa.


Crediti

Cover Photo: Carla in the darkroom, wearing a feathered helmet designed and made by Rob Goodwin for his Valkyries Collection (2011). Photograph by Toby Deveson, February 2019.
Translation: by Valentina Sarno.

En la actualidad la menstruación es un tema candente.

Mucho se ha reivindicado recientemente, en el diálogo público, en relación a un fenómeno biológico que siempre ha estado teñido de una incómoda moral de doble cara.

Las mujeres, especialmente las más jóvenes, han comenzado una cruzada hacia la incondicional y positiva apreciación de sí mismas, y esto incluye la valoración de sus ciclos, sus fluidos y sus sangrantes fases vitales.

Afortunadamente el discurso ciertamente visible y a todas luces predominante en la esfera mediática, relacionado con esta nueva militancia pro ‘regla’, parece salpicar sobre el diálogo colectivo un chorro de empoderamiento ancestral. Sin pedir perdón ni permiso, y con un tono más visceral que educacional, las mujeres hoy exigen legitimar el glorioso poder arquetipal de lo salvaje inherente a lo femenino.

Yo por supuesto – con sangre, sudor y lágrimas – lo aplaudo.

Recuerdo haber escrito, siendo muy joven (hace al menos 18 años) un texto que rendía pleitesía a mis días y mis noches de flujos rojo carmín. Ya entonces entendía perfectamente, que nada me permitiría invocar con mayor fluidez mi río de corrientes transmutadas, que el reconocerme en la sangre que cada 28 días fluía entre mis piernas.

Esta sangre llegaba para recordarme que la vida es muerte y que la muerte es transformación. Y que las mujeres somos tibia maceración constante y periódica de ambas polaridades. Ya entonces entendía que las mujeres somos bestiales dicotomías que más vale abrazar que renegar.

Mujeres de todas las razas, edades, colores, sabores y medidas, difunden hoy, gracias al omnipresente poder de las redes sociales, fotos de sus rostros y/o cuerpos con trazos de lo que se sugiere como sangre de sus vulvas. O publican detalles de su ropa interior convenientemente mancillada y fotografiada con la intención de desestigmatizar, los efectos de náusea y/o escándalo que este tipo de imágenes generalmente producen en el imaginario colectivo.

Hoy, todo viene presentado con una mezcla de provocación feminista y de sublimación de las fuerzas inherentes al embrujo salvaje de lo inevitable. Sin embargo, yo aún me pregunto, y la mía no es una duda retórica, si toda esta movida reivindicativa que nos ayuda a enorgullecernos de la sangre que chorreamos, ocurre únicamente en el plano formal.

Me pregunto si este empoderamiento también nos hace compartir el tibio ritual del fuego que somos, y que mensualmente liberamos, desde nuestras entrañas y en el candor de la intimidad.

¿Tenemos más sexo las mujeres de hoy cuando sangramos del que tuvieron las mujeres de ayer? ¿Por qué jugar con sabores y texturas foráneas al cuerpo es considerado sexy y sin embargo saborear o embarrarnos de nuestra propia sangre no lo es? ¿O lo es para vosotras y yo no me entero?

En mi propia experiencia monógama y heterosexual – lamento si suena demasiado inocuo – el pensamiento progresivo de la palestra pública tiene espacio en la cabeza de mi pareja, pero no entre los fetiches o deseos eróticos más arraigados en él. A mi amante y mi amor, mi sangre no le resulta especialmente apetecible al paladar, y pienso que a un nivel inconsciente esta todavía lo asusta un poco.

Sin embargo, aunque entiendo que la naturaleza de un deseo carnal casi nunca es un asunto negociable: las cosas te tientan y/o apetecen, o no; reconozco que asumo su falta de apetito linfático como un gesto de sutil desprecio.

La falta de vampiresca voracidad de mi pareja me defrauda y lo expreso cada vez que puedo sin disimulo. ¿Por qué? Porque yo, hasta que no le queda ni una sola gota de sangre por derramar a mis ovarios, me siento tan tentadora como una copa de vino en manos de un abstemio, como un puñado de fresas frescas olvidadas en el fondo de la nevera, o como un trozo de carne cruda en una cena vegana.

Roja y peligrosa. Temporalmente desperdiciada. Maravillosa marea roja.


Creditos

Cover Photo: Carla in the darkroom, wearing a feathered helmet designed and made by Rob Goodwin for his Valkyries Collection (2011). Photograph by Toby Deveson, February 2019.


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