Metralla Rosa con Carla Tofano

¿Cuál Metralla? ¿Por qué Metralla?

By Carla Tofano

“What Metralla? Why Metralla?”

 

This text was written specifically to answer a question I was asked, publicly, just days after the launch of my YouTube channel.

The query, which is absolutely legitimate in its concern, was voiced by my great friend, Venezuelan artist Amalia Caputo, who lives in the United States. Amalia, whom I’ve known since I was 8 or 9 years old, wanted to know whether I would consider changing the ‘Metralla’ part of my project’s name, Metralla Rosa.

In a world where so much irrational violence has been unleashed everywhere, so many shootings, even in schools, the word ‘Metralla’ (shrapnel), she said, wrung her stomach and her heart.

‘Metralla’ is the burst of gunpowder in the explosion of a firearm. But my ‘pink shrapnel’ suggests an explosion of colour, a poetic vindication, a play on words that connects action and emotion in a subversively metaphorical image.

I am grateful to Amalia for her pertinent enquiry: amongst other factors, she provided me with the opportunity for me to revisit the concept, to understand the reason behind this stubborn need of mine to not just rediscover my vocational origins, but to do that using the name belonging to my first excursion into independent expression.

‘Metralla Rosa’ was an opinion column that used to be published in what was an alternative newspaper, Urbe (the ‘Village Voice’ of Caracas at that time). At the age of twenty something I was able to use it to talk about subjects that seemed to affect an entire generation. This column of mine wasn’t necessarily dissident, but it was definitely unaffiliated, and I was able to engage in very clear pop-feminist dissertations on topics such as menstruation, visits to the gynaecologist, the ritual of painting one’s lips, female masturbation, and all sorts of urban chronicles about our parallel, alternative city in nineties’ Venezuela.

An ambiguous, contradictory, and clearly playful title was the only way I could convey everything I wanted to say, without trying to generate a didactic discourse, or seeking to expound certainties of any kind.

Several decades after those initiatory adventures, I am back, and the same reasoning has lead me to the knowledge that ‘Metralla Rosa’ is, after all, the name I wish to resurrect.

Having experienced several inner – and outer – psychological deaths, and created many other columns and communication projects during my journalistic career, ‘Metralla Rosa’ is the one most able to bring me back to the future I want to see.

I am sometimes appalled at how political correctness has become the Gospel in countries where, of course, there are people who are affected by everything which has naturally created very high levels of a plausible and collective citizen conscience. However, I need to know – and must assume – that in the dialectic arena we can still afford to have games and provocations, even with questionable restraint.

My ‘Metralla Rosa’ is hard to pronounce in English, morally questionable in Spanish and absolutely irrelevant in Italian. However, these two words carry the vibration I need to power my dream carpet. They possess the barrage of aesthetic violence that I wish to vindicate, and the ability to transform that comes with meanings that embrace each other to create unprecedented references.

The ‘Metralla Rosa’ I welcome you to today is a violent act of faith. This ‘Metralla Rosa’ knows itself to be sweet and savoury, relies on the power of cooperation and knows that the charm of unselfish and shameless inspiration is the only answer to all my questions.

This dreamy ‘Metralla Rosa’ fires only cotton candy bullets.


Credits

Cover Photo: by Drucilla Burrell taken during the Art Model Collective Session, Muties & Perps: 2000AD at Resistance Gallery. February 2017.
Inset Photo: Selfie by Carla. December 2019.
Translation: by Valentina Sarno.

“Quale Metralla? Perché Metralla?”

 

Questo testo in particolare è una risposta a una domanda pubblica che ho ricevuto pochi giorni dopo il lancio del mio canale YouTube.

La domanda esponeva una perplessità assolutamente legittima, ed è stata posta da una mia grande amica, artista venezuelana residente negli Stati Uniti, Amalia Caputo. Amalia, che conosco da quando avevo 8 o 9 anni, voleva sapere se avessi mai contemplato l’idea di cambiare il termine ‘Metralla’ (mitraglia) dal nome del mio progetto Metralla Rosa.

In un mondo talmente oberato da violenza irrazionale, scatenata ovunque, con frequenti attacchi armati persino nelle scuole, la parola mitraglia, diceva, le stringeva lo stomaco e il cuore.

Una ‘metralla’ è una scarica di polvere da sparo esplosa da un’arma da fuoco. Tuttavia, la mia mitraglia, rosa, suggerisce un’esplosione di colore, una rivendicazione poetica, un esercizio dialettico che collega azione ed emozione in un’immagine sovversivamente metaforica.

Sono grata ad Amalia per essersi fatta – e per avermi fatto – questa pertinente domanda, anche perché mi ha offerto l’opportunità di riflettere sul perché di questa mia ostinata necessità di ritornare, non solo a ritrovare le mie origini professionali, ma soprattutto al nome della mia prima avventura di opinione indipendente.

‘Metralla Rosa’ era una rubrica d’opinione che circolava nell’allora quotidiano alternativo Urbe (all’epoca il ‘Village Voice’ di Caracas) e grazie alla quale potevo discorrere, a vent’anni e poco più, di argomenti che sembravano concernere un’intera generazione. Grazie a quella colonna non necessariamente dissidente ma sicuramente non affiliata, sono riuscita a discorrere in modo molto chiaro di femminismo pop tramite argomenti come le mestruazioni, le visite al ginecologo, il rito di pittura delle labbra, la masturbazione femminile, e ogni sorta di cronache urbane, sulla città possibile in Venezuela negli anni novanta.

Ed è stato solo usando un titolo ambiguo, contraddittorio e palesemente giocoso che ho potuto presentare tutto quello che volevo dire senza necessariamente creare discorsi didattici o cercare di esporre certezze di qualsiasi natura.

Oggi, al mio ritorno, diversi decenni dopo quelle prime avventure, sono le stesse ragioni che mi portano a credere che ‘Metralla Rosa’ sia il nome che dopo tutto voglio far risorgere.

Dopo aver vissuto diverse morti psicologiche, interne ed esterne, e dopo aver creato molte altre rubriche e progetti di comunicazione lungo il mio percorso giornalistico, è ‘Metralla Rosa’ che meglio mi restituisce al futuro che voglio vedere.

A volte sono terrorizzata da quanto il politicamente corretto sia diventato il Vangelo nei paesi in cui ci sono, ovviamente, persone che soffrono di ogni cosa, ed esiste un livello molto alto di comprensibile coscienza collettiva e dei cittadini. Tuttavia, io ho bisogno di – e devo – sapere che nel campo della dialettica possiamo ancora permetterci giochi e provocazioni, con dubbio contegno.

La mia ‘Metralla Rosa’ è difficile da pronunciare in inglese, moralmente discutibile in spagnolo e assolutamente irrilevante in italiano. Tuttavia, queste due parole hanno la vibrazione di cui ho bisogno per far viaggiare il mio tappeto di sogni. Possiede il turbinio di violenza estetica che voglio rivendicare e la sensibilità trasformatrice che i significati che si abbracciano creando inediti riferimenti danno.

Questa ‘Metralla Rosa’ alla quale vi do il benvenuto oggi è un violento atto di fede. Questa ‘Metralla Rosa’ sa di essere dolce e salata, confida nella forza della cooperazione e sa che il fascino dell’ispirazione disinteressata e spudorata è l’unica risposta a tutte le mie domande.

Da questa sognante ‘Metralla Rosa’ escono solo pallottole di zucchero filato.


Crediti

Cover Photo: by Drucilla Burrell taken during the Art Model Collective Session, Muties & Perps: 2000AD at Resistance Gallery. February 2017.
Inset Photo: Selfie by Carla. December 2019.
Translation: by Valentina Sarno.

Este especifico texto será para responder una pregunta que recibí públicamente a solo días del lanzamiento de mi canal en YouTube.

La pregunta, absolutamente legítima en su preocupación, fue expresada por mi gran amiga, la artista venezolana residenciada en Estados Unidos, Amalia Caputo. Amalia, a quién conozco desde que yo tenía 8 o 9 años, quiso saber si no me había cruzado por la cabeza la idea de cambiar el término ‘Metralla’ del nombre de mi proyecto Metralla Rosa.

En un mundo en el que se ha desatado tanta violencia irracional por doquier, con tantos ataques armados hasta en las escuelas, la palabra, metralla, decía, le estrujaba el estómago y el corazón.

Una metralla es una ráfaga de pólvora estallada por un arma de fuego. Sin embargo, mi metralla, rosa, sugiere una explosión de color, una reivindicación poética, un ejercicio dialéctico que conecta acción y emoción en una imagen subversivamente metafórica.

Agradezco que Amalia se hiciera – y me hiciera – este pertinente cuestionamiento, entre otras cosas porque me ofreció la oportunidad de replantearme por qué esta terca necesidad mía de volver, no solo a reencontrarme con mis orígenes vocacionales, sino especialmente con el nombre de mi primera aventura de opinión independiente.

Metralla Rosa fue una columna de opinión que solía circular en el entonces diario alternativo Urbe (por aquellos años el Village Voice caraqueño) y gracias a la cual pude disertar a mis veinte y poquitos años, temas que parecían concernirle a toda una generación. Gracias a esa columna no necesariamente disidente pero definitivamente no afiliada, logré disertaciones de clarísimo feminismo pop acerca de temas como la menstruación, las visitas al ginecólogo, el ritual de pintarse los labios, la masturbación femenina, y toda suerte de crónicas urbanas, acerca de la ciudad posible en la Venezuela de los noventa.

Y solo bajo un título ambiguo, contradictorio, y a todas luces juguetón, me resultaba posible presentar todo lo que quería enunciar sin la intención de crear discursos didácticos, y sin buscar exponer certezas de ninguna naturaleza.

Hoy, a mi retorno, varias décadas después de aquellas iniciáticas aventuras, son las mismas razones las que me llevan a creer que ‘Metralla Rosa’ es el nombre que deseo resucitar después de todo.

Después de haber vivido varías muertes psicológicas, internas y externas, y después de haber creado muchas otras columnas y proyectos de comunicación a lo largo de mi recorrido periodístico, es Metralla Rosa lo que mejor me regresa al futuro que quiero ver.

A veces me aterroriza lo políticamente correcto que se ha vuelto el verbo en países donde existen por supuesto dolientes para casi todo y un altísimo nivel de plausible conciencia colectiva y ciudadana. Yo, sin embargo, necesito – y lo asumo – saber que en el terreno de lo dialéctico aún podemos permitirnos juegos y provocaciones, de dudosa compostura.

Mi Metralla Rosa es difícil de pronunciar en inglés, moralmente cuestionable en español y absolutamente irrelevante en italiano. Sin embargo, estas dos palabras tienen la vibración que necesito para transitar mi alfombra de sueños. Tienen la ráfaga de violencia estética que deseo reivindicar y tienen la sensibilidad transformadora que otorgan los significados que se abrazan para crear referencias inéditas.

Esta Metralla Rosa a la que les doy la bienvenida hoy es un violento acto de fe. Esta Metralla Rosa se sabe dulce y salada, confía en el poder de la cooperación y sabe que el encanto de la inspiración desinteresada y desvergonzada, es la única respuesta a todas mis preguntas.

Acá, desde esta ensoñadora Metralla Rosa, solo se disparan balas de azúcar y algodón.


Creditos

Cover Photo: by Drucilla Burrell taken during the Art Model Collective Session, Muties & Perps: 2000AD at Resistance Gallery. February 2017.
Inset Photo: Selfie by Carla. December 2019.


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